26 novembre 2012

La terra trema - seconda parte




Se fosse capitato anche a te?
Ma è capitato anche a me!


deformazione del ponte nuovo di Finale Emilia
La chiamata di partire arriva dal nostro Incaricato di Zona EPC e l’appuntamento è per le 7 a casa di Chiara, a San Giuseppe, poi si passa per Comacchio; il resto della squadra ci raggiungerà il giorno successivo. La strada diventa un labirinto rispetto al tragitto che avremmo fatto normalmente andando a riunione di Zona a Casumaro. Ciò che attira l’attenzione sono sicuramente i vecchi casolari lungo la campagna che hanno subito grossi danni e le macerie sono molte; saranno sicuramente da abbattere poiché non hanno resistito alle scosse che si sono succedute in questo periodo. Anche la Chiesa di Buonacompra, crocevia sulla strada, lascia interdetti. Raggiungiamo Finale Emilia, tendopoli del campo n. 6 in orario per l’inizio del servizio a cui siamo stati assegnati: “Volontari Segreteria” c’è scritto nel badge che ci viene consegnato. Nel caldo della mattinata siamo accolti da chi è già da alcuni giorni a svolgere le mansioni dette. Si tratta di prendere le consegne della parte “burocratico-amministrativa” del campo. Sembra poco e relativamente importante, ma fin da subito scattano le dinamiche di relazione tra volontari, noi Scout con i VAB della Protezione Civile; non solo, ma a quello sportello cominciano ad affacciarsi gli ospiti,  i “residenti temporanei” di quella Tendopoli. Gente apparentemente tranquilla, ma che ad un approccio più stretto esprime il bisogno di non sentirsi sola, di sicurezza, di pace nelle proprie 4 mura poco distanti da lì, al di là delle cose che comunque hanno a disposizione in quel luogo, oltre ad una tenda che li ospita, magari insieme a famiglie diverse, ora sotto lo stesso “tetto”.
I volontari sono all’opera: è un brulicare di persone che non stanno mai ferme dalla mattina alla sera al fine di assicurare i servizi necessari ai Finalesi. Ognuno cerca di fare del proprio meglio e senti i ringraziamenti per questo; anche Luca, il gestore del bar nei pressi del campo accoglie noi volontari e ci offre il caffè….
Facciamo fare una comunicazione in lingua araba ad una signora marocchina: essa legge un proclama del Console che offre ai ragazzi marocchini una vacanza estiva nel paese d’origine.
Arrivano i “massaggiatori piedi” per tutti coloro che ne vogliono approfittare; anche le parrucchiere (Federica e Federica) molto estrose sono pronte per l’attività di “restauro”; gli psicologi offrono la loro competenza per aiutare gli ospiti a superare le paure, il medico di famiglia è presente anche lui, il veterinario è disponibile per quegli animaletti che dalle mura casalinghe si ritrovano a vivere all’aria aperta.
I commenti che senti a tavola toccano: qualcuno si appresta e chiede informazioni, consigli, per poter acquistare una casetta in legno da mettere davanti alla propria casa, ma poi il Comune darà l’autorizzazione?
Un giorno si sente un boato ed un movimento tellurico 2.9 che scuote tutti durante il pranzo: mentre le voci aumentano di volume, qualcuno dice: “E’ un container in manovra!”, giusto per rassicurare i bambini…
A proposito, un bambino piccolo dice di aver paura dell’orso che si trova sotto terra e ogni tanto si muove.
Una serata con Andrea Poltronieri di Zelig riporta gioia e distrae le menti: argomento “Perché la donna è superiore all’uomo? Dimostrazioni varie….
L’ultima sera, dopo la fine del turno di servizio, noi scout ne approfittiamo per andare in centro: è desolazione e non ci resta che osservare nella zona rossa presidiata dalle forze di Pubblica Sicurezza ciò che è stato modificato dal terremoto. Camminare in mezzo alla strada fa vedere chiaramente diversi comignoli caduti a terra o un divano sopra ad un cumulo di macerie presso edifici che apparentemente non mostrano nulla di anomalo. Ma piange il cuore nel vedere il castello, la rocca e le auto sepolte dalle macerie stesse.
Abbiamo anche pregato insieme noi scout prima dei pasti ed ognuno di noi ha rivolto gli occhi al cielo per i fratelli finalesi e tutti gli altri…
Arriva il giorno della partenza, dopo alcuni giorni trascorsi per offrire la propria goccia. Per chi ha vissuto l’evento dell’Aquila, sembra di essere tornati a tre anni fa, ma la differenza è che questa volta sono i nostri vicini di paese, ci dividono solo 90 Km.
Se fosse capitato anche a te?
Ma è capitato anche a me!

Una Squadra della Zona di Ferrara - Antonietta, Foulard Blancs-Ferrara


PALE E CARIOLE


Anche oggi, dopo il lavoro mi sono precipitato a San Carlo, frazione di Sant Agostino, nell'epicentro ferrarese del sisma, o comunque nelle zone che pagano il prezzo economico e sociale; più alto delta nostra provincia. Su facebook fioccano in questi giorni i gruppi: "Ferrara non si ferma", "Uniti per ricominciare", AiutiAmoci", è un fiorire di azioni, posizioni, affermazioni, e anch'io oggi ho fatto la mia parte, per sentire che facevo, e per raccontare e testimoniare quello che ho potuto riscontrare.
Il pomeriggio mi ha visto di nuovo dentro le case di una piccola frazione di S. Agostino, devastata da un incredibile fenomeno di geyser di sabbia liquefatta: dopo la scossa da giganteschi crateri nelle strade, nei campi, nelle case, è, esplosa acqua e poi fango, a tonnellate, che ha travolto e invaso tutto. Le abitazioni si ritrovano ora sepolte sotto uno strato grigio di mezzo metro e più di fango, pesantissimo quando umido, duro e compatto quando asciutto. E tutti a scavare, con pala e carriola, tra gli armadi, le mensole, alla ricerca del pavimento.
Nel pomeriggio, strani segni nelle strade, nei pavimenti, nel terreno hanno de­stato preoccupazione nelle autorità, che dopo una breve consultazione hanno decretato lo sgombero dei quartieri centrali della frazione. La sabbia che ha invaso tutto ha lasciato sotto le case un minaccioso vuoto, che rischia di far let­teralmente smottare un paese che se prima poggiava su una palude tremante, ora si accorge di sorreggersi sul nulla.
Nel frattempo si vive la strana euforia del soccorritore, di chi fa, di chi non sta fermo. Si scherza, con i padroni di casa e i compagni di lavoro, si raccolgono i complimenti e la gratitudine, si ricevono generose offerte di ristoro; II pome­riggio scivola veloce, lungo la strada si accumulano le tonnellate di fango e le case si svuotano per poter ricominciare. Ma oggi non è finita qui.
Centinaia di persone hanno improvvisamente dovuto prendere atto che le loro case non si riprenderanno in queste ore e iiqueste settimane dal terremoto di sabato e dallo sciame che da allora imperversa nella zona. Ora si trovano nella zona rossa e questo significa abbandonare le loro abitazioni. Non poter; più lavorare per Sgombrarle, non poter più sorvegliarle di notte dalle macchine parcheggiate di fronte, non poter più immaginare di poter ricomporre, lenta­mente e con fatica il senso stesso della parola "abitare". Prima erano terremotati, ora sono sfollati. Nel giro di un paio d'ore l'angoscia del rincorrersi di voci, la lotteria di quali vie siano coinvolte nello sgombero,poi una breve assemblea cittadina per le comunicazioni, e infine l'arrivo delle corriere per portare via centinaia di famiglie, con pochi minuti a disposizione per prendere alcune cose.Vedere un pezzo di paese "sgombrare" è uno strano spettacolo: macchine stipate di borse, sguardi nascosti dietro gli occhiali, uno ha persino noleggiato in dieci minuti un furgone per i traslochi e con l'aiuto dei figli dodicenni ha iniziato letteralmente a caricare la propria casa, l'armadio quattro stagioni, le mountain bike dei ragazzi. Tutte quelle spalate e scarriolate  tutto quel fare, non è stato sufficiente, non  basta.  Queste persone si dirigono da parenti capaci di ospitarli, o ai campi, alle tendopoli, verso le strutture messe a disposizione nei centri di accoglienza.|
"Non si ferma", "Uniti", Ripartiamo"... viene da dire, come ci si poteva credere se poi un intero paese ti può franare sotto le suole.  Domani è Pentecoste. Mesi fa, con i clan della zona di Ferrara, avevamo pro­grammato un fuoco di zona, riflessioni, spunti, condivisione.:. Poi c'è stato il terremoto, e coi capi ci siamo detti: "Dopo quello che è successo dobbiamo fare qualcosa!!!"
Dopo oggi, dopo quello che e successo non saprei... penso che ho bisogno di qualcosa di più di' pale e carriole, penso che il fare, a questo punto non basti davvero, per quante tonnellate solleviamo. Sono contento di trovarmi domani con i nostri ragazzi, perché penso proprio che sia giunto il momento di pregare, insieme, per trovare la forza, ma di più per trovare la speranza. La speranza per queste persone, per i nostri amici, famiglie, case. Domani noi pregheremo, in questo momento penso proprio che ce ne sia bisogno. Preghiamo insieme...

Elias Becciu- Ferrara 4


QUANTO VALE UN UNIFORME?

26 maggio. Quello che conosco sui danni che il terremoto ha provocato nei paesi vicino a Ferrara sono i, racconti dei media e le telefonate di qualche amico.
La città ha ancora molte vie con transenne e nastri bianchi e rossi che delimitano
zone con pericolo di crollo. Molte sono "ferite superficiali", guariranno in fretta, altre, in particolare quelle dì alcune chiese, richiederanno molto più tempo. Non immagino an­cora cosa possano suscitare i danni subiti dai paesi maggiormente colpiti dal sisma, II viaggio verso Finale Emilia mostra lentamente l'avvicinarsi a zone più colpite. Mano a mano che ci avviciniamo le vecchie stalle e fienili sono sempre più danneggiati; crolli e crepe ornano questi edifici che testimoniano l'antica vocazione contadina di que­sto territorio.
All'arrivo il campo è già "vivo". Incontro i capi dello: staff del Reparto del Ferrara 4, fra i primi della nostra Zona ad intervenire nel campo 6 di Finale Emilia prestando servizio alla segreteria ospiti e alla segreteria volontari. Cristiano e Giovani andranno ad occuparsi della segreteria volontari mentre io passerò la mia giornata di affrancamento nella segreteria ospiti cercando di capire quale servizio siamo chiamati a svolgere e come rendermi utile il prima possibile
Il campo è ancora in fase di allestimento, le tende sono già montate, disposte in file
perfette, con i giusti spazi di movimento tra una fila e l'altra; sono tutte occupate;: all'ini­zio ci si è preoccupati di accogliere il maggior numero di .persone possibili, ora invece bisogna capire come distribuirle in maniera ottimale nel campo, quali esigenze e quali difficoltà hanno gli ospiti, cosa richiede il COC.
Le disposizioni che arrivano sono tante, le regole della vita del campò è di accoglienza si stanno costruendo e sono in continuo mutamento. Il campo è un pentolone ribollente di persone, culture, affetti, religioni, persone bisognose, volontari, II dialogo con il Capo Campo non è sempre semplice, ma alla fine è efficace. Le giornate sono lunghe e la stanchezza dei volontari affiora.
Per la prima volta incontro i VAB, una associazione di cui avevo già sentito parlare, ma
che non conoscevo realmente. Sono in tanti, laboriosi, sorridenti, competenti. Si vede e si sente che per molti di loro questa esperienza non è la prima.
L’emergenza ci porta a collaborare con associazioni e con persone che non conoscia­mo e che non ci conoscono, eppure in quei momenti concitati ci si rende conto che si è tutti parte della stessa "rete", della quale noi siamo uno dei tanti fili e che per poter offrire un buon servizio alle pèrsone che stanno vivendo la tragedia del terremoto, bisogna mantenersi ben attaccati a tutti gli altri fili, bisogna che i "nodi" della rete siano ben fatti. Come non si diventa esperti nel fare nodi in un giorno, così tessere le relazioni con le altre associazioni richiede tempo, impegno, perseveranza. E' un servizio delicato del quale forse con troppa facilità ci disinteressiamo.
Il primo contatto, che comunica perché io scout è il volontario VAB al mio fianco ci troviamo a condividere alcuni giorni della nostra esistenza insieme non è verbale, ma è solo visivo. Le tute ad alta visibilità loro e l'uniforme che indosso io. Esse:parlano e comunicano per noi più delle parole che ci scambieremo durante i giorni successi. Hanno una storia. Una storia che noi siamo chiamati a rispettare e onorare con il nostro servizio e con il nostro essere Scout. Comunicano perché rappresentano gli sforzi, l'impegno, là generosità e la fedeltà che chi le ha indossate prima di noi in situazioni analoghe è riuscito a incarnare e testimoniare. Prestare servizio ai campi non è solo compiere una buona azione, è mantenere unito il sentiero, che traccia la nostra storia e preparalo a chi verrà dopo di noi. Forse è anche per questo che le persone, ospiti del campo, con cui ho parlato, si sono fidate degli scout. Continuiamo a tracciare questo sentiero.

Simone Cavicchi. Inc.Reg. FO.CA
 

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